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Pompei, la Regio IX è ora aperta al pubblico


Il sito archeologico campano rivela le sue più prossime scoperte, incluso l’iconico affresco della “pizza”, a partire dal 3 gennaio 2024.


La novità 2024 di Pompei. Il Regio XI è l’ultimo dei nove quartieri componenti gli scavi pompeiani ad avere l’attenzione degli archeologi. Risale infatti al lontano 1888 il primo scavo dell’area, ben presto interrotto e messo in secondo piano. A distanza di più di un secolo, lo scorso febbraio 2023 si rivela un nuovo inizio, i lavori finalmente procedono. Una “pizza” affrescata e un panificio-prigione di schiavi ne sono il sorprendente risultato. 
Si tratta di ben due domus ad atrio originarie dell’età Sannitica (I millennio a.C.), in seguito riadattate in officine produttive distinte: una fullonica e un panificio angusto e recintato. Scoperta che il XIX secolo lasciò incompleta. 
La fullonica è uno spazio adibito al lavaggio dei panni, con tanto di vasche per tintura e lavaggio dei tessuti e grandi banconi da lavoro; la lavanderia posta nell’atrio del civico 2 lungo la via di Nola, il celebre Quadrivio. Il discusso panificio è invece annesso ad un’abitazione dell’insula 10 della Regio IX, ulteriormente suddivisa da una stretta stalla e tre piccoli forni, il tutto ridotto in pochi metri quadrati riducendo lo spazio al minimo indispensabile. Stipati al suo interno, operaie, operai e asini erano confinati tra le spesse mura di pietra alternate solamente da una singola e ingannevole finestra “cieca”. Quest’ultima era infatti affacciata su di un ambiente interno dell’abitazione e, come se non bastasse, transennata da una fitta grata in ferro battuto. 
La macinazione, quindi, avveniva tramite un masso reggente il catillus, una macina messa in funzione da asini, pompeiane e pompeiani ridotti in schiavitù e forzati a una sincronizzazione obbligata dalle ridicole distanze tra un macchinario e l’altro (tre in tutto)… senza tralasciare la misera e costipata stalla e le sue (fragranti) esalazioni.
Gli equidi, impossibilitati nel movimento, erano guidati da appositi intagli scovati negli ampi ciottoli del pavimento, perciò evitandone la caduta e lo scontro, altrimenti rovinoso. Una vera e propria estraniante catena di montaggio d’altri tempi, panifici cittadini che addirittura Apuleio denunciò con tutta prontezza nella Metamorfosi (II secolo d.C.), noto anche con il titolo L’asino d’oro, l’unico libro della letteratura latina giunto interamente intatto sino ai nostri tempi.
Tramite un’intervista pubblicata dalla rivista scientifica E-Journal, il direttore del Sito Archeologico di Pompei Gabriel Zuchtriegel dà voce al suo dissenso.
“Si tratta, in altre parole, di uno spazio in cui dobbiamo immaginare la presenza di persone di status servile di cui il proprietario sentiva il bisogno di limitare la libertà di movimento. È il lato più sconvolgente della schiavitù antica, quello privo di rapporti di fiducia e promesse di manomissione, dove ci si riduceva alla bruta violenza, impressione che è pienamente confermata dalla chiusura delle poche finestre con grate di ferro. Sono spazi come questo che ci aiutano anche a capire perché c’era chi riteneva necessario cambiare quel mondo e perché negli stessi anni un membro di un piccolo gruppo religioso di nome Paolo – poi santificato – scrive che è meglio essere tutti servi, douloi, ovvero schiavi, ma non di un padrone terrestre, bensì di uno celeste”.

Sibilla Panfili

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