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Stefano Pani, l’uomo dei murales

È uno tra i più importanti fautori di murales in Sardegna, dedito a una forma artistica che è anche evento culturale in mostra perenne

Si chiama Stefano Pani l’uomo dei murales, nasce nel 1977 a Orroli nella provincia del Sud Sardegna, paese situato nella subregione storica del Sarcidano e attualmente vive e lavora nel Sarrabus. Ma gira l’intera isola per opere dipinte che costantemente gli vengono commissionate.
Si firma S.Pani, e si identifica come pittore del colorismo, corrente che, nelle arti figurative e nella musica, consegna al colore una funzione espressiva fondamentale, mentre in scultura e in architettura, la ricerca di effetti cromatici è mediante il rapporto dei chiari e degli scuri, dei pieni e dei vuoti.
S.Pani tra i suoi ultimi lavori celebra la grandiosità di Luigi Lai, in un murale inaugurato alla presenza dell’amministrazione comunale e dell’intera comunità di San Vito. Dall’imponenza di quasi 100 metri quadrati, raffigura il contemporaneo maestro ultra novantenne intento a suonare le launeddas, lo strumento che ha reso famoso nel mondo San Vito e la Sardegna.
Fa della sua inclinazione una vera e propria attività professionale. La tensione artistica che muove da un’intenzione civile, non si ferma al mero movimento di opposizione da cui nasce questa pratica, ma intende diventare dialogo su diversi livelli,
«Per me l’arte deve essere il bello per tutti, non esibizionismi o scelte di campo – spiega S.Pani -. Ho dipinto grandi tele sul banditismo sardo, non sono altro che rappresentazioni storiche.»
È infatti libera espressione creativa, sistema di codifica di usi e costumi di un popolo e infine azione di libertà per Stefano Pani che, diventando gesto estetico, supera o prescinde la protesta da cui parte la storia dei murales in Sardegna con l’arrivo, negli anni Settanta, degli esuli cileni Alan Jofrè e Uriel Parvex, in fuga dalla soppressione di Salvador Allende.
Nel cogliere la vita e riprodurla nel dipinto, dando un’anima alle persone che rappresenta, si sintetizza una sorta di obiettivo preciso. Diffuso e comunicato in un nuovo linguaggio.
Per questo l’opera di Stefano Pani trova largo spazio sociale; l’attività rurale sarda nelle sue più profonde connotazioni viene resa con lucidità in opere richieste di amministrazioni pubbliche, comitati pro-loco o committenti privati su beni pubblici o di proprietà; da ritrattista dipinge personaggi tipici, in una varia campionatura di usually people si addentra nel mondo del muralismo col sogno di apportare contributi per quella ricchezza ricevuta in dote. «Un domani la bellezza e il fascino della pittura sarda sarà proporzionale all’immensa bellezza della nostra terra, – sostiene convinto S.Pani – perché le opere che la rappresentano non possono esser di meno.»
E insistendo nel dissociarsi fortemente da tutta la retorica che si lega all’ideologia rivoluzionaria del murale, snobba una storiografia di avvicendamenti sull’isola mentre raggiunge e supera vette di 300 mila visualizzazioni su TikTok: «Più imparano ad apprezzare la Sardegna più il valore verrà condiviso: un po’ come è successo per il fenomeno Costa Smeralda®. Il nostro è un lavoro durissimo e per certi aspetti anche molto fisico. Il bello è un’impresa da raggiungere, non solo è soggettivo, è anche gesto atletico che quasi mai oggi coincide con una scala di economia di valore. Quello che posso dire è di essere attento alla soddisfazione degli altri, non alla mia.»
Per S.Pani oltre l’ideologia conta la diffusione di questa pratica che resta fortemente collegata al riemergere di una forte sensibilità per il particolare patrimonio antropologico e per la peculiarità della storia civile della Sardegna, un valore che è una responsabilità. «Se piace a me non è detto che piaccia al committente ma di solito ci capiamo, perché difficilmente chi mi chiama non apprezza il mio stile.»
Conservare e tramandare si coniugano all’imperativo, in quella pretesa ricca di sfumature che è il suo percorso quotidiano.

Anna Maria Turra

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